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pensieri in parole

La domenica

 

 

Sofocle diceva che i bocconcini di pollo sapevano di pesce.

Per tal fatto preferiva il pesce agli avanzi del pollo della domenica.

 

La domenica eravamo tutti più belli, e più felici di sempre.

Il babbo usciva con le scarpe appena lucidate, mocassino elegante e ricercato, accessorio primario di una mise impeccabile che elevava l'arte della moda povera a modello di dignità stilistica.

A volte, è vero, cadeva in eccessi psichedelici con giacche nere accese da schegge d'argento; ma era il suo modo per volare al di sopra della morsa.

Quella della vita, non quella fissa che viveva sul bancone dell'officina.

Gli altri giorni della semana il babbo era una tuta, era l'odore degli umori delle auto sezionate, era le mani degli sporchi rappresi nelle architetture automobilistiche.

 

Iperattiva e sorridente divideva le sue giornate tra l'amato angolo del cucito e i fornelli; la mamma, ovviamente.

La mamma era ogni giorno uguale, senza sorprese; ed ogni giorno sorprendente.

La mamma che ci svegliava ogni mattina spalancando finestre e avvolgendo tapparelle perchè doveva abbeverare fiori e piante depositati sui balconi; Ferragosto o Natale l'orario era lo stesso, le 6!

Ormai non protestavamo più; bofonchiavamo parole incomprensibili, al solo scopo di far capire che eravamo vivi, prima di riprendere sonno.

La mamma, la domenica, non esagerava mai nel vestirsi, tanto per lei era un giorno di lavoro come gli altri.

I suoi vestiti nuovi erano quelli vecchi che le sue mani avevano buttato giù, come diceva lei in gergo sartoriale, per rimetter su in un completo modificato, diverso; quindi nuovo. Come al babbo anche a lei piacevan le scarpe, ma la mamma era più discreta nelle scelte. Le mancava il culto della borsa, strano a dirsi per una donna ma, in fondo, a lei serviva un fazzoletto e poco più per uscire di casa senza sentirsi priva di appigli.

 

I fratelli, tre maschi tre, erano cavalli allo stato brado. Educati, ma non impeccabili.

La moda arrivò a tentare le loro sinapsi solo quando gli ormoni s'impadronirono delle loro giovani menti. E non per tutti.

La domenica la differenza la facevano gli occhi. 

E gli occhi erano aperti verso una famiglia serena.  

 

 

Dimenticavo; Sofocle era il cane di un mio caro amico di giochi.

  

19 marzo (festa del papà)

 

 

Oggi me so' svegliato fonfo,

ho aperto l'occhi a fatica

me guardo er viso: gonfio.

E le mani che parevano ortica

 

So' annato a piscià e poi a beve

e a vede' fori er cielo che diceva;

'na pioggerella scenneva lieve lieve,

che a vedella piagne me piaceva

 

Ho messo er latte sur fornello,

er caffè era freddo della sera,

ho preso li biscotti dal cestello

e la tazza della colazione, nera

 

Poi so' annato a sbircia' mi fijo,

lungo, ch'er matarasso nun abbasta,

tenero a dormì che pare 'n conijo

m'è annato de faje 'na carezza su la testa

 

E in quer momento, che la sveglia fava le 9

m'è venuto er giorno che s'annava a fa',

e allora me so detto: guarda un po', è er 19 …

m'arzo e me riscopro papà.

 

Mamma

 

 

Tapparelle che crescono all'alba,

la luce che buca l'occhi,

all'amate piante il buongiorno

incurante dei bofonchi dei figli

 

Odori dalla cucina

gioie dei mille sensi,

pietanze d'amore e passione

godendo del viaggio nei sapori

 

Sproloqui da cabaret,

momenti di allegra complicità,

e risate grasse a consumare il fiato

quando Batman era Kunta Kinte

 

Mille lavori e ancora uno,

aghi fili stoffe e cartamodelli,

giorni infiniti di notti senza notte

per un pugno di soddisfazione

 

Occhi neri, sorriso perenne,

instancabile e testarda, e libera.

Celestina, per sempre nel vento,

cenere che spande allegria sul mondo